'... la cultura è un'esperienza umana difficile da definire, ma noi la riconosciamo come la totalità dei modi con i quali gli uomini creano progetti per vivere. E' un processo di comunicazione tra gli uomini; essa è l'essenza dell'essere umano. La cultura è tutto ciò che mette in grado l'uomo di essere operativo e attivo nel suo mondo, e di usare tutte le forme di espressione sempre più liberamente per stabilire comunicazione tra gli uomini...'

UNESCO luglio 1968 -Diritti culturali e diritti umani

 

percorsi itineranti tra letture e culture

quindici settembre duemilasette

ideazione e redazione abramo e i di fretta

Quando la poesia agisce nel silenzio

meriggiare assorti sul lago di Chiara, "commossi" tra Franco Loi e Umberto Fiori

"La poesia dovrebbe servire a far agire la gente." Così dichiarò l'acclamata autrice americana Anne Sexton (1928-1974). Così, in una tranquilla giornata di settembre, Franco Loi e Umberto Fiori hanno decretato la rinascita dell'arte del fare durante una passeggiata "gibigianica" per e sulla poesia con aspiranti poeti ed amanti della forma, reclutati dal Festival del Racconto Piero Chiara.

Partendo dalla tragica scomparsa del genere epico-didascalico, soppiantato dalla "novel, ma soprattutto essicato dalla filosofia e dalla politica, abbiamo assistito alla veglia funebre della poesia performata. Il tutto come il refrain di una canzone che porta all'azione gli ultimi e profondi sostenitori della forma in versi, mentre la convenzione temporale perde totalmente la sua ragione d'essere.

Sono al cospetto di Franco Loi, una delle personalità più vive della poesia dialettale (ove l'aggettivo riduce la portata della sua opera) che tra gerghi ed idioletti nell’ampio respiro narrativo si accende in limpide impennate liriche. Cucchi lo definì proprio per il suo agire poetico (dove il fare è etimologicamente connesso alla traduzione del greco poesis): "Loi è venuto maturando, all’interno di una sua spiritualità tutta particolare, una quasi in interrotta riflessione in versi, una meditazione sul senso dell’esistere, della morte, e sulla presenza di Dio. " (Franco Loi, di Maurizio Cucchi, in: Dizionario, pubblicato su La Stampa web, 29 dicembre 2003)

Vengo traghettata da un Umberto Fiori, ex chitarrista degli Stormy Six, silenzioso e fendente autore di testi poetici e critici, vicino alla cosiddetta “linea lombarda” di Raboni, Giudici, Erba.

I due testimoni oculari della scena contemporanea duettano dal palcoscenico del Palazzo Verbania sul "mandato sociale" della poesia, la cui crisi intrinsecamente rimanda a quella della civiltà occidentale: dopo il '700, quando "nascono" i critici, che ne impongono una lettura estetica e, quindi, una razionale analisi, la forma in versi diviene l'autobiografia di coloro che ci impongono la loro vita (e poco quella delle persone comuni) e viene svuotata di quel senso collettivo, precludendone il consenso e offrendosi solamente al giudizio estetico, come un feticcio.

Quest'idea che la poesia sia prevalentemente tecnico-retorica, allontana dai viaggi danteschi o dall'epica mitica di Omero (esempi massimi di azione dei versi) portando i poeti nel secolo delle masse, dove è necessario trovare una ragion d'essere, un prestigio che ne impoverisce essenza e fruizione.

La poesia diviene, dunque, mero manufatto, autoespressione egotica.

E questa visione estetica, che si affida alla tecnicizzazione ed agli effetti speciali, conduce alla deviante morale di una produzione e costruzione della poesia.

Ma il nostro periodo attuale registra una molteplicità di personalità che si definiscono poeti senza conoscere figure retoriche e metrica, dalla cui esclusiva cultura possono sorgere versi musicali che avvicinano Mozart e Wagner a Baudelaire e Mallarmé. Anche se è stato Schopenauer a decretare un ribaltamento nella scala delle arti, dove la poesia viene soppiantata proprio dalla musica, che dà un senso più puro alle parole della tribù e che, secondo la definizione greca, è l'idea ed il ritmo dei rapporti della società di massa.

Quest'esilio dal centro della civiltà ha cancellato il ruolo fondamentale della cultura orale, quando la poesia era tutto il sapere, e ne ha decretato, dunque, la conseguente morte della memoria.

Le parole di Loi e di Fiori affondano nel rapporto concorrenziale tra filosofia e poesia, dove la prima ha relegato la seconda ad una condizione di minorenne per la sua essenza emozionale e poco razionale, dove la filosofia chiude e la poesia apre.

Ma ciò che resta lo donano ancora i poeti, perché la memoria è la madre della poesia e trasforma Leopardi in un filosofo. Ed il cantore in versi non si impone, ma si consegna: non rivendica il mio ed il tuo, persegue l'originalità esclusiva di ciò che abbiamo in comune con gli altri.

Per combattere questa finzione della poesia, dell'io che mi immagino, Dante ci torna in aiuto: porsi come oggetto delle emozioni (quindi, del movimento) e ascoltare la nostra memoria inconscia.

La poesia è dentro ogni uomo che è attento al proprio essere nel mondo, rifuggendo quel rapporto convenzionale con la vita, che depriva invece di far entrare nell'essere del sé.

Ed ecco che la poesia riassurge alla sua condizione di massima arte. Ecco che Loi e Fiori al cospetto di decine di aspiranti uomini sanciscono la rinascita del verso che agisce: la poesia è importante anche per il poeta, che scopre qualcosa di nuovo, penetra nell'essere di sè e si lascia dire.

Bandiamo i cattivi poeti che costruiscono manufatti, sbilanciando il rapporto intrinseco tra forma e contenuto a vantaggio della mera estetica compositiva.

Io, poeta, non ho davanti me o gli altri quando scrivo: la cultura di base (tecnica, retorica, metrica) è un dato che studio a priori. Poi mi lascio dire, scrivo ciò che ascolto e scopro. Ed infine riscrivo per far suonare meglio la parola, per portarla alla collettività, commuovendola (cioé muovendola con).

Dentro la parola aperta io mi perdo: il silenzio è l'unica espressione della vita e la poesia si avvicina al silenzio.

Ombretta Diaferia quattordici settembre duemilasette 

 
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